Ernesto Collu: una testimonianza di stile

Ernesto Collu: una testimonianza di stile

da | 21 Giu, 2021

Sono trascorsi esattamente venti anni dalla morte di Ernesto Collu e mentre scrivo mi rendo conto che, probabilmente, molti dei lettori non hanno conosciuto o addirittura non hanno mai sentito nominare questa figura così importante per il mondo dei sommelier e per l’enogastronomia sarda.

Inizio quindi subito col dire che è stato il fondatore dell’AIS Sardegna, nella sua attuale conformazione. Era il 19 dicembre 2000 quando, per sua iniziativa, dinanzi al Notaio Carmen Cappellini di Cagliari si costituì l’associazione che, da quel momento, avrebbe gestito l’attività dei soci AIS dell’isola e della quale fu il primo Presidente. Ricordo ancora l’emozione di quella giornata e la sensazione, condivisa dai pochi presenti, di essere testimoni di un momento importante per la sommellerie sarda; tra questi Giuseppina Pilloni che poco dopo ne avrebbe raccolto il testimone. La strada tracciata dalla sezione territoriale della Sardegna ben presto sarebbe stata seguita dalle altre emanazioni locali dell’AIS dando luogo a quella che è l’attuale organizzazione territoriale.

I mesi che seguirono furono particolarmente impegnativi, con i corsi di Cagliari e Sassari che vedevano la partecipazione di decine di iscritti, mentre si avviavano i primi corsi fuori dai capoluoghi di provincia: Dorgali, Jerzu e Berchidda; eppure, fino a quando le forze glielo consentirono, non fece mai mancare il suo contributo, sino a programmare il passaggio di consegne che di lì a pochi mesi dopo si sarebbe tristemente reso necessario.

Ma di certo questo non è il solo e neanche il più importante dei meriti per i quali i sommelier della Sardegna devono essere riconoscenti ad Ernesto Collu. Certo la sua instancabile opera di formazione ha contribuito ad una sorta di alfabetizzazione enogastronomica di molti operatori del settore e di semplici “appassionati”. Ritengo però che il debito principale che noi tutti abbiamo verso di lui, riguardi qualcosa di più intangibile e tuttavia più prezioso. Mi riferisco alla testimonianza di stile che ha sempre caratterizzato il suo approccio ai temi dell’enogastronomia; egli infatti fu per tutti noi che ci affacciavamo appena a questo mondo, un esempio di passione e competenza, mai disgiunte, che esprimeva con un rigore e un’autonomia di giudizio (oggi così rara) che lo portavano ad assumere, se necessario, anche posizioni impopolari e controcorrente.

Sfogliando tra i ricordi di una frequentazione durata oltre dieci anni mi viene in mente la mia prima visita alla Cantina Contini e il memorabile duetto con Paoletto Contini a parlare di Vernaccia. Anche in quella occasione non mancò di contestare garbatamente al suo interlocutore la proposta dell’uso della Vernaccia in cucina, da lui ritenuto inopportuno in particolare sul pesce. Una tesi che come altre era disposto a difendere a oltranza, forte di una non comune conoscenza della cucina regionale e delle materie prime, frutto di una completa integrazione con la cultura materiale isolana che quella cucina aveva espresso. Perciò se affrontava un argomento lo faceva sempre con cognizione di causa: che si trattasse di pane o di sfarinati in genere (la cui competenza gli derivava dalla appartenenza ad una famiglia di mugnai) oppure di capperi dei quali, da buon selargino, conosceva i segreti di raccolta, conservazione e utilizzo.

Una delle sue grandi passioni era lo zafferano del quale descriveva in maniera impareggiabile i caratteri, i metodi di preparazione e utilizzo in cucina e l’apporto che questo autentico gioiello di Sardegna è in grado di conferire a diversi piatti della tradizione sarda; uno su tutti Su Succu di Busachi, così intimamente legato alla straordinaria armonia dello zafferano. Proprio in questi giorni mi è capitato tra le mani un prezioso volumetto (ormai penso introvabile) pubblicato dall’ERSAT che raccoglie gli atti di un convegno intitolato “Giornata dello zafferano” svoltosi a San Gavino Monreale nel 1988 e che contiene appunto un contributo di Ernesto Collu sul ruolo dello zafferano nella cucina e segnatamente in quella tradizionale sarda. Il capitolo si chiude proprio con la descrizione di un piatto originale che egli definiva “semplice e di rapida esecuzione, mediterraneo per natura” e che chiamò “Spaghetti alla Monreale”. La lettura mi ha riportato alla mente la simpatica circostanza nella quale venni a conoscenza di questo piatto. Ci trovavamo sull’aereo per Cagliari di ritorno da un viaggio studio in Andalusia. Le coincidenze dei voli non ci avevano consentito di consumare il pranzo e di questo ci si lamentava scherzosamente. Ernesto prese quindi l’iniziativa e nel tentativo di lenire l’appetito dei presenti, si mise virtualmente ai fornelli descrivendo minuziosamente i passaggi della preparazione di questo piatto. La descrizione fu talmente evocativa di profumi e sapori che, neanche a dirlo, l’effetto fu opposto a quello desiderato. Mi permetto oggi, in questo primo giorno d’estate, di riproporne la ricetta originale, pensando che sia il modo migliore di ricordare una persona cara a molti di noi e alla quale personalmente mi accade spesso di pensare, sempre con grande nostalgia e profonda riconoscenza.

Spaghetti Monreale (dosi per 4 persone)

Componenti base:
Spaghettini gr. 400
Formaggio ben stagionato da grattugiare: pecorino e/o caprino gr. 120
Pomodori ben maturi gr. 300

Grassi e condimenti
Olio extra vergine d’oliva, cucchiai n. 6
Zafferano (sfarinato) n. 24-30 fili (0,06 – 0,08 gr.)
Pepe bianco, una pizzicata appena macinato
sale q.b.

Preparazione ed esecuzione:
Pelare accuratamente i pomodori e privarli dei semi e di eventuali nervature, ricuperando l’acqua di vegetazione; schiacciare e sminuzzare la polpa con una forchetta, versare il tutto in una zuppiera aggiungendo una presa di sale e lo zafferano già sfarinato con cura (utilizzare la dose massima se il formaggio è caprino); rimestare il tutto in modo che lo zafferano si sciolga, aggiungendovi i 2/3 del formaggio grattugiato e rigirare ancora; per ultimo aggiungere tutto l’olio e il sugo è pronto per ricevere gli spaghetti, caldissimi e ben scolati, rigirare spruzzandovi tutto (o parte) il formaggio rimasto.
Servire immediatamente perché il sugo freddo ha già abbassato la temperatura.
È un incontro tra il formaggio molto saporito e l’acido gentile del pomodoro maturo con la morbida espressione dello zafferano e la leggera untuosità dell’olio.
Mantiene delicatezza e digeribilità particolari, specialmente utilizzando formaggio caprino.